sabato 3 settembre 2011

Attenti al piccolo liberticidio quotidiano!

Il concetto di libertà' è tra i più suggestivi che esistano. Al confronto, quelli di uguaglianza e di fraternità sono giusto strumentali, necessari. Soltanto quello di amore può competere, purché la sua natura sia squisitamente individuale, desiderante, ad personam, mai indistinta - altrimenti perderebbe la sua autonomia rispetto a quello di fraternità.
C'è soltanto da ragionare su quale libertà sia effettivamente solo benessere degli individui e, di conseguenza, della società, dal momento che il senso certo della vita di chiunque dipende unicamente dalla sua facoltà di goderne (almeno di comprimere il tempo dedicato a cose che non producono né piacere diretto, né riflessione), mentre quella di consacrarla a una qualsiasi categoria esterna al sé - dal successo o il lucro agli ideali più nobili - costituisce un modo di sfuggirne, anestetizzarla e anestetizzarsi (piacere indiretto o "vano", per dirla con Epicuro). Insomma, contraddicendo un Gaber ancora parrocchiale, diciamo pure che la libertà può essere "star sopra un albero", può essere "il volo di un moscone", può essere "uno spazio libero", ma la "partecipazione" ne costituisce tutt'al più una componente interlocutoria.

Questo, perché una libertà reale e benefica, essendo facoltà psicologica propria dell'individuo, non comporta in sé un agire enfatico, né il soddisfare aspettative enfatiche. La provocazione e la negatività, artefici di tante provvidenziali correzioni umanistiche del corso della storia, hanno in vario modo la libertà come fine, ma nel compiersi dei loro atti comprimono le libertà dei loro fautori, fino talvolta a sopprimerle del tutto.

La libertà più reale e benefica è dunque una libertà palpabilissima, ma di cui il pensiero comune quasi non ha nozione. Tanto che ha in memoria la pappardella della libertà dell'uno che finisce dove comincia quella dell'altro. Difficile capire che cosa esattamente significhi.
Chiarissima e logicissima, al contrario, la formula di una libertà dell'uno che "si completi" con quella dell'altro (Errico Malatesta). Perché le indoli libertarie non possono che dispensarsi comprensione emotiva a vicenda, quindi costituire piccole riserve di serenità nutrita di vantaggi pratici, che si tratti di rapporti amorosi o di amicizia, ma persino di vicinato e di lavoro.
Solo la comune pigrizia mentale - con annesse diffidenza e competitività incondizionate - impedisce questo, tutelando invece l'esistenza nevroticamente mediocre e la distrazione da tutte le riflessioni utili a indagare sulle sue cause. Soprattutto da quelle esili regole di autocontrollo, essenziali all'autogestione, la cui anima prima non è che il "senso dell'altro", prima qualità sociale dell'individuo. Ma la disgrazia, paradossale per il libertario, è che questa attitudine non è soltanto dell'illibertario di principio, del malvagio, del volgare o dello psicopatico. E' praticamente di massa, e passa inosservata per la disarmante innocenza dei suoi atti.
Ecco i più diffusi:
- pretendere in nome dell'amicizia o, ancora peggio, della consanguineità favori che comportano sacrificio;
- parlare a lungo di contenuti poco adatti al turno conversativo (vissuti propri di chicchessia, soprattutto disgrazie, proprie specifiche competenze o propri meriti etc.), e ancora peggio se per telefono, quando l'altro non può usare che la nuda parola per difendersene, col rischio di essere scostante come non vorrebbe mai;
- esagerare in convenevoli, presumibilmente non funzionali ai tempi dell'altro;
- dare consigli insistenti a chi non ne ha invocati, avendo giustamente proprie, collaudate opinioni in merito;
- questionare in dettaglio sull'opinione dell'altro che si non sia in tutto identica alla propria;
- giudicare/sanzionare il comportamento dell'altro, partner compreso, ancora peggio se l'oggetto è l'omissione, anziché l'azione;
- spiare, controllare la vita quotidiana dell'altro, partner compreso;
- contestare con o senza ironia la legittima diversità dell'altro, da gusti, abitudini, abbigliamento al modo o l'accento territoriale con cui si esprime.
Ovviamente, sono piccoli crimini che non hanno il peso ufficiale del razzismo, dell'omofobia o del plagio. Crimini psicologici dovuti a semplice ignoranza, semplice grezzezza, semplice dilettantismo dell'essere, non di più. Ma lungi da questo l'assolverli dall'accusa di danno grave alla società della microstoria. Sono comunque danni alla qualità delle relazioni umane, che ne risulta quanto meno inutilmente deturpata. Ostacoli a sentimenti altrimenti tanto più autentici e gratificanti, cosa che non si può negare.

Toccare con mano un mutamento sembra piuttosto un miraggio. Bisognerebbe soltanto abbattere l'artificio della famiglia. In quanto più ravvicinata e più ridotta unità di appartenenza, la famiglia falsifica l'individuo dalla nascita, impartendogli micidiali lezioni di diffidenza dell'esterno e facendo risuonare al suo interno le miserie di chi la crea; sfascia sentimenti un tempo autentici in un contratto che li trasforma in ricatti morali. Più in un luogo c'è famiglia e più in quel luogo regna la scarsa realtà.
Intanto, Fourier è troppo remoto, e le comuni anarchiche esistite o immaginate finora troppo a misura di schizofrenia. Ci vuole qualcosa di contemporaneo, pratico, fatto per come siamo veramente fatti noi. Accolti anche i più modesti rattoppi.
Ergo, italianetti e vittime della famiglia di tutto il pianeta, fatevi di coca o di quello che vi pare (ci sono persino innocui prodotti fitoterapici che possono fare al caso), ma cercate una buona volta di svegliare le papille gustative della vostra psiche!

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