mercoledì 6 gennaio 2010

Bere bene e fumare bene per vivere meglio

Ho sempre un po' diffidato di chi non beve nessun tipo di alcolico e non fuma. Non certo di chi non fa una sola delle due cose, che può giustamente non piacergli, ma di chi non le fa entrambe: chi, strana coincidenza, esclude dalla sua vita quotidiana proprio i due piaceri compensativi più a buon mercato per la condizione adulta - anche quando è solo l'anagrafe a definirla.
Soprattutto in un paese casermale come l'Italia, questi piaceri vengono comunemente chiamati "vizi", essendo soprattutto piaceri tendenzialmente antieroici, come ogni forma di autococcolamento - diversamente, per esempio, dal sesso. Ma ignorare le possibilità di valorizzare i momenti della vita che entrambi offrono, dalla giusta leggerezza alla giusta concentrazione, mi sembra decisamente scarsa realtà, e senza il bisogno di contrapporci le gesta di scrittori, poeti o quant'altro.
In base alla mia esperienza, credo infatti di poter ricondurre questi ambigui astensionisti, tranne rarissime eccezioni, a tre tipi umani, non certo meravigliosi:
1) il virtuoso di principio, efficientista, correzionista e perciò salutista, nell'ideale di essere ineccepibile con la società, il lavoro e la famiglia (che immancabilmente ha), spesso filo-animalista e/o filo-ecologista, un po' persona "in meno" nella socialità di piacere, perché dice poco, mai nulla di personale; essenzialmente un affiliato della vita strumentale tout court;
2) l'aspirante vegetale, lobotomizzato dalla fede cieca in un presunto ordine superiore (discipline spirituali o della potenzialità, veganismo, medicine alternative etc.) e appagato della fantomatica perfezione che l'abdicazione al sé in favore di quell'ordine gli assicurerebbe in permanenza, perché banalmente timorosissimo di assumersi la responsabilità del suo essere individuale, quindi delle ritualità della sua vita;
3) il tipo non godereccio dell'eterno fanciullo (prettamente italiano), mancato all'appuntamento biologico con i piaceri compensativi adulti, essendo mancato a quello con la sua individualità, e quindi con un gusto consapevole; impigliatissimo nella famiglia di provenienza e a volte un po' ipocondriaco, ma che conserva una fame da età dello sviluppo; spesso dispensatore di giudizi rigidi e petulanza insopportabile.
Il problema, comunque, è che questi nuovi mediocri, oggi diffusissimi, non sono neppure il peggio della nostra società. Non sono pompieri clerico-fascisti, conoscono l'inquietudine e hanno mediamente coscienza dell'altro. Sono semplicemente gli inquinati passivi del messaggio di mortificazione dell'individuo lanciato dai poteri contemporanei: lo strato capillare del guasto provocato a sinistra da destra e cattolicesimo insieme - quello che su grande scala è lo stile del PD. Prova ne è che con loro nessun discorso un po' complesso, un po' sollevato dalle evidenze, attecchisce mai. Alcuni di loro si sentono persino in mano un potere di contraddittorio: ovviamente, con argomentazioni anguste, meccanicistiche, robotiche.
Certo, sia bere che fumare in eccesso è dannoso. Ma si sappia che lo è proprio nella stessa misura in cui è preoccupante, cioè da curare, il bisogno eccessivo, smodato, di compensazioni: quando il soddisfarlo comporta una serializzazione dell'atto che comprime il connesso piacere rituale. Chi beve in eccesso, semmai mescolando di tutto, dubito che si procuri dell'autentico piacere rituale: la compulsività dell'atto ripetuto lo scavalca, lo annulla. Così come dubito che chi accende una sigaretta dopo l'altra, in ogni momento e situazione, ricavi di meglio dell'assecondamento di un tic. Ed è una disgrazia che al bere e al fumare si associno immagini come queste; che esistano l'alcolista pirata della strada e il fumatore oggettivamente fastidioso, perché sono i loro dubitabili modi di volersi bene che hanno suscitato l'epocale furore proibizionista. E, c'è poco da fare, il proibizionismo deteriora le vite di tutti. La cosa proibita la si fa lo stesso, soltanto che la si fa con stress, cioè male anziché bene, con meno piacere e più danno al corpo.
Ora, sia ben chiaro che bere e fumare bene significa tutt'altro che concedersi questi piccoli grandi piaceri soltanto in occasioni particolari, e tutt'altro anche dal poco ma buono. Non è esattamente la qualità della materia impiegata a fare quella dell'atto. Lo è comunque la libertà di ripeterlo, la sua non eccezionalità. Sta poi a noi dosarlo secondo il nostro effettivo desiderio. Ed è qui che misuriamo la nostra capacità di sentire l'unità psiche-corpo: dotazione essenziale dell'individuo, se abbiamo il coraggio di ammettere che l'individuo si determina attraverso l'autogestione e l'autoaffetto reale - opposto a quello indotto dai luoghi comuni (tra cui non bere e non fumare). Autogestione e autoaffetto reale significano infatti sentire, sentirsi, pensare con la propria testa, riconoscere il senso dell'egoismo (il che migliora il senso dell'altro), farsi un baffo dei modelli di vita, vivere il più possibile in un tutto rituale l'insieme dei propri momenti.
In America, intanto, con un movente omologativo certamente più fantapolitico che paternalistico (come il nostro), hanno messo a punto niente meno che un vaccino contro il piacere di fumare - e, si badi bene, il piacere, non il desiderio. Difficile a dirsi che cosa possano ottenerne a vantaggio della salute della gente, dal momento che non può certo derivare gente più sana dalla soppressione di un piacere, soprattutto se compensativo. Ne deriveranno piuttosto, e nella migliore delle ipotesi, un bel po' di nevrotici in più, di prevaricatori o di truffatori, come in Italia. Perché un piacere tolto dovrebbe essere immediatamente rimpiazzato da uno nuovo, almeno in una società laica che si rispetti, e individuarlo potrebbe non essere così immediato per chiunque. Questo, d'altronde, sarebbe il vero punto di forza del Viagra, se effettivamente fa riacquistare insieme desiderio, energia e piacere sessuali a chi li ha in declino.
Resta che quelle stesse società laiche farebbero meglio a tutelare quanti più piaceri sia possibile, a studiare come fare per tutelare quegli aspetti più psicologici, meno meccanici, della qualità della vita, anziché affidare tutto grossolanamente al proibizionismo omologatore. Insomma, se proprio i poteri devono esistere, che speculino anche su questo! Mi sa tanto che l'omologazione non prometta granché a lungo termine.