martedì 9 giugno 2009

Tra Italia dei Malori e Repubblica dei Pizzoccheri

Nulla sorprende del risultato di queste elezioni europee, il che lascerebbe davvero poco spazio a commenti profani come i soli di cui sono capace in materia di politica.
Ma qualcosa che viene dal cuore ho voglia di dirla lo stesso: che, se l'Europa va (ulteriormente) a destra, l'Italia si addentra (ulteriormente) nell'osteria. Il che significa liberalismo e liberismo "di risulta", qualche modesta punizione alle smargiassate del premier - che sarebbe splendido poter interpretare come minoritaria attenzione al "j'accuse" del Financial Times - e, in primo piano, tanta chiusura sociale, tanta diffidenza, tanto odio troppo simile a quello che un microcosmo "etnico" nutre nei confronti di altre etnie.
Multietnico, d'altronde, è sempre un paese borghese, capitalistico a tutti gli effetti e implicitamente destrorso: è il cosiddetto "Stato canaglia" che pensa in grande sulla pelle delle classi più deboli, ormai puntualmente fatte di allogeni. Ma l'Italia non è neppure questo, anzi non lo è affatto. Vorrebbe semplicemente fare questo senza pellacce nere o gialle tra i coglioni, senza lo straniero che sta già sfruttando. Infatti, la gente non si mette d'accordo, vorrebbe l'uovo e la gallina e non sa come, dal momento che anche fare le piccole canaglie richiede pensiero, senso di realtà, nozione della storia presente, in qualche modo propensioni dialettiche, paradossalmente.
Dunque, per adesso, il grido è "chiudiamo le porte", facendo finta di niente, tanto poi si vedrà. Tanto, l'omogeneità culturale è la prima garanzia di "sicurèssa". E la "sicurèssa" innanzi tutto, così si torna a casa in santa pace, si vedono in santa pace le partite di calcio, si guarda in santa pace la tv, insomma si fanno in santa pace tutte le cose che fanno la vita! Eh, cacchio!
In altri angoli della terra, sopravvivono repubbliche delle banane, in cui si tollerano dinastie di dittatori e sfruttamenti delle proprie risorse a solo vantaggio di un'élite di potenti o, magari, anche contrattati con qualche "Stato canaglia" occidentale. Cose davvero atroci, ma che l'Italia, stiamone certi, non conoscerà mai, perché le banane sono straniere, "etniche", che se ne vadano via! L'Italia sarà la Repubblica dei Pizzoccheri che non chiederà e non darà niente a nessuno, neppure alle confederate repubbliche dei Bìgoi, della Bagna Cauda, della Fugassa... dei Cannoli, e tanto meno alla Repubblica Fasciopariolina del Campidoglio, specialista in discriminazioni laziali. Ognuna provvederà da sola a se stessa, e tutto andrà alla grande - cioè alla piccola.
Unico dubbio: non è che, nell'edificare questa alternativa autarchica al male e al bene del mondo, gli imprenditori continueranno a sorvolare sulla "sicurèssa" dei lavoratori? Mica lasceranno morire i loro corregionali!
(A sinistra, intanto, facendo i puri e duri si sono lasciati morire uno ad uno).

UNA CONFERMA DIRETTA (postilla del 10/6/2009)

Soltanto qualche ora dopo la pubblicazione di questo post, ricevevo una mail con il seguente testo: "Gentile Paolo Vitolo, ho letto le Sue amare considerazioni sulle repubbliche (delle banane e dei pizzoccheri) che condivido. Tuttavia non generalizzerei: le banane sono banane e i pizzoccheri sono un'altra cosa. Non potrei dire diversamente essendo l'autore e l'editore di un libro storico sulla ricetta e sul piatto in questione".
Il senso? semplicissimo: touche pas aux pizoquéris! Nient'altro che questo.
Ma allora, altro che polemici i miei interventi! Sono realismo esasperato! quello che puntualmente diserta il giornalista, l'opinionista, il comico tv che si para il culo attaccando ogni piega della classe politica, ma mai il costume degli italiani. Eppure il nostro tumore, il nostro invasore è proprio quello, quella faciloneria, quel semplicismo, quel non-pensiero a tutti i costi.
Immagino l'inno nazionale delle Repubbliche Confederate della Secchia Rapita che recita: "Va' pensiero / non farti sentire mai più / qui noi non ti vogliamo..." (naturalmente con melodia e um-pa-pa verdiani).